Intelligenza Artificiale:
un metodo per innovare l’innovazione?
Articolo di Vladi Finotto, ricercatore Confermato per Economia e gestione delle imprese -
Dipartimento di Management, Università Ca’ Foscari venezia
Ogni nuova tecnologia si accompagna, nel dibattito più generale e nella percezione delle donne e degli uomini di impresa, ad aspettative di trasformazione radicale delle logiche di business. I consueti sondaggi delle grandi società di consulenza restituiscono un percepito fatto di stravolgimenti del panorama competitivo, di nuovi modelli di business che selezioneranno winner e loser e di urgenza nell’adozione delle tecnologie.
Una collaborazione tra MIT e Boston Consulting Group del 2017 rileva come il 60% di un campione globale di 3.000 executive di imprese innovative ritengano necessaria una strategia specifica sulla AI a livello corporate. Nello stesso campione, il 63% degli intervistati ritiene che gli effetti dirompenti dell’AI su modelli di business e competizione in una varietà di settori si vedranno nei prossimi cinque anni.
Qual è Il Gap tra aspettative e realtà?
Se si guarda tuttavia agli impatti dell’AI già prefigurati dagli esperti e in alcuni casi in via di definizione, appare evidente un gap tra le aspettative “dirompenti” e la realtà (come evidenziato anche nella survey “The Enterprise AI Promise: Path to Value"). Da un lato molto dibattito sull’AI innestata nei robot di ultima generazione si manifesta sotto forma di un sostanziale efficientamento dei processi produttivi tramite l’automatizzazione di task “semplici” oggi eseguiti da esseri umani.
Dall’altro, l’applicazione dell’AI all’analisi di grandi quantità di dati, allo stesso modo, viene vista come un viatico per rendere più efficienti flussi e processi esistenti, come quelli che legano tra loro attori nelle catene di fornitura e più in generale i flussi di raccolta di dati inerenti alla domanda da integrare nei processi di sviluppo di nuovi prodotti.
C’è un ambito sul quale la riflessione strategica è ancora agli inizi: il modo in cui le applicazioni più avanzate e sofisticate dell’AI – il deep learning, per esempio – cambiano radicalmente il modo in cui produciamo nuova conoscenza e la mettiamo a valore. Alcuni economisti Usa come Scott Stern del MIT di Cambridge ritengono che siamo di fronte a un metodo in grado di innovare l’innovazione.
La capacità di imparare e predire, basata su una illimitata capacità di elaborare quantità di data point impensabili fino a poco tempo fa, aumenterebbe l’efficienza dei processi innovativi ma soprattutto amplierebbe i confini dell’inventiva umana.
Il caso Atomwise
Un esempio aiuta a chiarire il concetto. Atomwise, una startup di San Francisco², ha approntato un sistema basato su reti neurali in grado di confrontare la struttura 3D di molecole con quella delle proteine target così da predire accuratamente la loro bioattività. Attraverso l’uso di supercomputer, AI e algoritmi in grado di elaborare milioni di strutture molecolari, l’azienda è in grado di sviluppare medicinali in una frazione del tempo richiesto dai processi tradizionali.
Non solo quindi la tecnologia è in grado di predire i risultati di procedure sperimentali che richiederebbero molto tempo e denaro. Ciò che è più interessante è che è in grado di ipotizzare medicinali che non esistono e che sono in grado di curare malattie che ancora non esistono, mirando quindi al mercato di forme virali nuove ed emergenti che periodicamente si manifestano nel mondo.
²https://www.atomwise.com/
Innovazione dell’Innovazione?
Gli impatti sui processi di innovazione dell’IA sono duplici: da una parte li rendono più efficienti, sostituendo il lavoro di macchine e software al lavoro umano necessario per fare esperimenti e prove. In aggiunta, e soprattutto, l’IA potrebbe sovvertire l’adagio di Einstein per cui la scienza – e l’innovazione in senso lato – sono tanto potenti quanto più sono semplici: pur sofisticate, le teorie di cui disponiamo e i metodi ingegneristici si sono sempre basati sulla riduzione del numero di cause responsabili di determinati fenomeni.
La capacità predittiva del deep learning sembra aprire uno scenario in cui possiamo predire fenomeni complessi trattando una molteplicità di fattori causali che la mente umana, e i sistemi di cui disponiamo oggi, non sono in grado di trattare. Insomma, una riserva pressoché infinita di nuove idee, applicazioni e soluzioni a problemi che non immaginavamo e di soluzioni impensate.
Le scoperte scientifiche, l’innovazione e il progresso tecnologico saranno quindi materia per le macchine? No, decisamente. Anzi, il potenziale dell’IA necessita dell’uomo, della sua immaginazione e della sua capacità di pensare agli altri uomini: reti neurali e deep learning permetteranno di aprire il vaso di Pandora del possibile, tuttavia sarà sempre il giudizio umano a determinare se i problemi e le soluzioni meritano di essere perseguite, in che modo e con quali tempi.
A chi fa azienda e a chi la studia ora tocca il compito di capire quali modelli organizzativi e quali strategie consentiranno di realizzare appieno il valore di questa “innovazione dell’innovazione”.
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