Il Machine Learning spiegato a mia nonna
Dai super computer che fanno le cose da soli ai computer che imparano cosa fare,
semplicemente avendo il tempo di studiare
Di Giorgio Soffiato, docente e Managing Director Marketing Arena
Quando si parla di Big Data e Analytics esistono due termini che possono apparire sinonimi, ma in verità non lo sono. Vogliamo capire qualcosa di più su Artificial Intelligence e Machine Learning ed esplodere al servizio di tutti quella che solitamente si rivela una ingarbugliata matassa di concetti. La metafora della nonna potrebbe tornarci utile. Viene in aiuto un articolo del 2016 di Forbes, che definisce, per voce di Bernard Marr, l’Intelligenza Artificiale come “l’uso di macchine che portano a termine compiti in un modo che consideriamo intelligente” mentre si riferisce al Machine Learning come “l’applicazione dell’Intelligenza Artificiale per rendere le macchine libere di accedere a set strutturati di dati ed apprendere da sole”. Insomma, nonna, abbiamo dei super computer che fanno le cose da soli (AI) e a volte imparano pure quali cose fare semplicemente avendo il tempo di studiare.
Anche se a volte il Machine Learning viene interpretato come una sub-costola dell’Intelligenza Artificiale, è in realtà più corretto pensare che lo stesso ne fotografi lo stato dell’arte, almeno nella sua parte più avanzata ed esplorativa.
I teorici dividono l’Intelligenza Artificiale in “applicata” e “generalista”, ed è forse in questo secondo ambito che il Machine Learning ha più carte da giocare. Il grande passaggio concettuale che va tenuto a mente è che il Machine Learning si basa sulla convinzione che sia meglio insegnare alle macchine a pensare come gli umani, invece di dare loro tutta la conoscenza dell’universo. In tal senso vanno citate le reti neurali, un particolare tipo di struttura che nasce con l’obiettivo di classificare le informazioni a livello macchina esattamente come fa il cervello di un umano.
Oggi un’applicazione di Machine Learning può ascoltare musica, comprendere se un umano sta facendo una lamentela o un complimento su un sito web o addirittura comporre una canzone. Secondo Gartner il mercato delle Smart Machine raggiungerà i 29 miliardi di dollari nel 2021. Le applicazioni di questa tecnologia (che definire tecnologia è riduttivo) sono realmente infinite, dal mondo delle frodi a tutto il tema del marketing predittivo, fino al monitoraggio delle macchine nel mondo IoT. TechBeacon, in un bel post, sottolinea come non si tratti di un tema di tecnologia ma di persone in grado di utilizzarla in maniera sensata e profittevole. È fuor di dubbio come il Machine Learning sia un attore privilegiato, un game changer del business del futuro. Il Machine Learning oggi è ovunque, nel riconoscimento delle immagini ma
anche alla base degli algoritmi della famosissima applicazione musicale Spotify.
Più in generale, la parola che più appare correlata al termine Machine Learning è efficienza. Anche la precisione con cui UberEATS ti informa sulla distanza dal tuo prossimo pasto, nonna, è ormai figlia di questa tecnologia. È davvero bello che questi giganti della tecnologia rendano disponibili i propri segreti”, come ad esempio fa Uber palesando il workflow della propria architettura di Machine Learning:
- Manage data
- Train models
- Evaluate models
- Deploy models
- Make predictions
- Monitor preditcions
E potremmo continuare con Netflix, PayPal, Gmail, Street View, Siri o il riconoscimento facciale.
Nel mercato assicurativo ad esempio secondo un recente articolo sono cinque i vantaggi che si possono ottenere da subito
grazie al Machine Learning:
- migliorare i propri modelli statistici
- utilizzare l’internet of things
- ottenere un vantaggio competitivo
- migliorare l’allocazione delle risorse
- mantenere la compliance
Nessun settore è escluso, dagli investimenti al customer caring per le banche. Con più del 75% delle aziende che investiranno in Big Data nei prossimi anni e tutte le grandi realtà già a bordo su questo tema, l’unica cosa da fare è non perdere questo treno.
Nonna, il Machine Learning è come il pilone nel rugby, non lo senti quando c’è ma lo senti quando manca. È addirittura forse corretto dire che in questo contesto è il viaggio più che la meta che premierà il navigatore che si avventurerà in questo processo di scoperta. Perché è tipico delle macchine aiutarci ad aprire gli occhi, ma è tipico dell’intelligenza umana insegnar loro a farlo.
Articolo tratto da
Trend by itasascom
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