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L’unione fa la forza, anzi i talenti

Intervista a Paolo Morelli, Executive Vice President, Biometrics of Alira Health.

"Le aziende hanno un disperato
bisogno di talenti che possano coprire
ad ampio spettro tutte le sfide
afferenti ai dati. Il ruolo dell’incubatore
è anche quello di fare da “interfaccia”,
da mediatore culturale e traduttore,
tra il mondo accademico e quello
delle aziende del settore."

PAOLO MORELLI

Executive Vice President, Biometrics of Alira Health

"Le aziende hanno un disperato bisogno di talenti che possano coprire ad ampio spettro tutte le sfide afferenti ai dati. Il ruolo dell’incubatore è anche quello di fare da “interfaccia”, da mediatore culturale e traduttore, tra il mondo accademico e quello delle aziende del settore."

PAOLO MORELLI

Executive Vice President, Biometrics of Alira Health

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Formare in sede universitaria professioni che siano più allineate alle reali esigenze imprenditoriali con l'obiettivo di garantire ai talenti un rapido ingresso nel mondo del lavoro, da un lato, e alle aziende di poter inserire persone non solo con le giuste competenze, ma anche con un allineamento culturale e sociale, una criticità che non va mai sottovalutata nei lavori in team.

Paolo Morelli, Executive Vice President, Biometrics of Alira Health, ci racconta com'è nata e si è evoluta l’unione tra l’Università di Bologna e il tessuto imprenditoriale locale.

Com’è iniziata questa “scommessa”?

È un’avventura iniziata più di dieci anni fa, quando all’epoca ero imprenditore a capo di una realtà che operava nell’ambito degli studi clinici offrendo servizi di analisi statistica e Data Management. In un momento di forte crescita del business, ho avuto bisogno di inserire nuovi talenti con competenze non solo nel campo dell’analisi statistica e del Data Management ma anche con esperienza dal punto di vista software, in particolare, la conoscenza della piattaforma SAS, ampiamente utilizzata nel settore farmaceutico e in campo clinico. In quegli anni tenevo alcune lezioni al Master di Statistica dell’Università di Bologna; mi venne così in mente di rivolgermi alla professoressa Angela Montanari, all’epoca Preside della Facoltà di Scienze Statistiche, lanciandole una sorta di provocazione: “come mai devo cercare in altri Paesi i talenti e le competenze che, invece, potremmo benissimo avere qui in Italia?”.

A distanza di dieci anni devo dire che il pungolo funzionò. La professoressa Montanari inserì nel percorso di studi la formazione specifica sul software SAS. Me ne affidò anche la docenza, così mi ritrovai a essere professore oltre che imprenditore.

Qual è stata, e qual è oggi, la relazione con SAS?

SAS ha un ruolo importantissimo in questa “scommessa”, non solo perché ha arricchito fin da subito il piano formativo ma anche perché ha “messo sul piatto” un elemento distintivo di enorme valore, ossia l’accesso alla certificazione SAS per gli studenti più meritevoli.

Ciò che si offre agli studenti non è solo un più esteso percorso formativo su temi e ambiti che gli garantiscono un più facile e rapido ingresso nel mondo del lavoro ma anche un arricchimento del curriculum che “fa gola” alle aziende, le quali ormai si contendono fortemente questi talenti.

L’unione tra Università e aziende private prosegue poi su un ulteriore livello: dopo la formazione accademica e la certificazione SAS, viene offerto loro uno stage di sei mesi in azienda grazie al quale proseguono la crescita formativa e professionale.

Devo dire con grande soddisfazione che a completamento di questi percorsi in azienda rimangono talenti e professionalità che ci invidiano in tutto il mondo. Molti dei miei studenti sono inseriti, con loro grande soddisfazione, anche in importanti realtà in Inghilterra, in Svizzera, negli Stati Uniti e in molti altri Paesi, con un forte riconoscimento della loro professionalità.

Un successo equamente distribuito tra Università, SAS a supporto dell’Accademia, e dell'impresa privata.

Come evolverà questa relazione?

Se l’unione fa la forza, anzi i talenti, la capacità di guardare sempre oltre l’orizzonte consente di far evolvere anche i progetti di più ampio successo. Sulla base dell’esperienza maturata in questi dieci anni, abbiamo deciso di estendere questo modello di relazione tra Università/SAS/azienda privata per una più efficace formazione dei Data Scientist (dal punto di vista delle professionalità lavorative).

Stiamo quindi per far partire un secondo incubatore nell’ottica di creare dei Data Scientist con competenze più specifiche sul fronte Intelligenza Artificiale e Machine Learning , sempre più richieste in campo clinico e in ambito farmaceutico.

Quali sono i fattori di cambiamento ed evoluzione del mondo Pharma che spingono verso una creazione di nuovi talenti e professionalità?

Ci sono un paio di elementi che hanno inciso fortemente sull’arricchimento e l’estensione della formazione accademica e della preparazione di nuovi talenti da inserire in azienda:

l’enorme esplosione di dati: oggi il settore farmaceutico ha a disposizione una mole potenzialmente infinita di dati che provengono sia dai processi interni (sempre più digitalizzati), sia da fonti eterogenee esterne che provengono da medici e pazienti, anche grazie alle tecnologie IoT o IoMT (Internet of Medical Things) e ai nuovi servizi di Telemedicina e Digital Health;

la maggiore complessità regolatoria attorno al dato: nello specifico nell’ambito della standardizzazione del dato di ricerca, aspetto che richiede competenze molto specifiche.

l’enorme esplosione di dati: oggi il settore farmaceutico ha a disposizione una mole potenzialmente infinita di dati che provengono sia dai processi interni (sempre più digitalizzati), sia da fonti eterogenee esterne che provengono da medici e pazienti, anche grazie alle tecnologie IoT o IoMT (Internet of Medical Things) e ai nuovi servizi di Telemedicina e Digital Health;

la maggiore complessità regolatoria attorno al dato: nello specifico nell’ambito della standardizzazione del dato di ricerca, aspetto che richiede competenze molto specifiche.

Il ruolo dell’incubatore è anche quello di fare da “interfaccia”, da mediatore culturale e traduttore, tra il mondo accademico e quello delle aziende del settore che, in questo momento, cercano dei “supereroi”. Le aziende hanno un disperato bisogno di talenti che possano coprire ad ampio spettro tutte le sfide afferenti ai dati. Ma è complesso formare quel tipo di competenze perché significa far confluire su un’unica persona capacità e abilità che in realtà richiedono specializzazioni molto differenti. Nel macro ambito della Data Science, alcuni talenti hanno competenze di tipo ingegneristico, più vicine alla modellistica matematica e alla programmazione, altre invece più vicine alla statistica e alla valorizzazione del dato.

Come può un incubatore e una partnership estesa tra Università di Bologna, SAS e impresa privata, dare una risposta a queste sfide?

Compito dell’incubatore sarà certamente anche quello di declinare bene i percorsi formativi, da un lato, e far comprendere alle aziende che per risolvere i problemi complessi del futuro serviranno team di Data Scientist, non un super scienziato.

Anche se, a mio avviso diverrà sempre più importante avere una figura capace di fare “surfing”, ossia di capire l’ambiente e intercettare bisogni e opportunità, o problemi e criticità da risolvere, che possono poi essere indirizzati con il “diving”, ossia con una maggiore profondità di intervento. Il “diving” si fa quando serve davvero e, a quel punto, con competenze diverse e super specializzate.

Riuscire a creare una figura di Data Science in grado di fare “surfing a 360 gradi” è la grande scommessa che vogliamo vincere con questo nuovo incubatore. A mio avviso il “surfer” potrebbe essere uno statistico con competenze allargate.

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5 aprile 2021

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