Dalla diagnosi precoce fino alla scelta dei trattamenti più indicati e all’aderenza terapeutica, dalla burocrazia sanitaria fino alla comunicazione, al monitoraggio e all’affiancamento dei caregiver, l’intelligenza artificiale è uno strumento utile a medici e pazienti lungo tutto l’iter di cura. Un alleato prezioso – in tutti i sensi – e potentissimo, ma da maneggiare con la giusta attenzione e secondo princìpi etici.
I tanti volti dell’intelligenza artificiale, accomunati da un grande valore
Si tratta di un campo talmente ampio e variegato che è possibile, sulla base di una ricerca condotta nel 2018 da Future Advocacy, distinguere almeno 5 diverse categorie di applicazione dell’intelligenza artificiale. Quella più intuitiva è l’ottimizzazione dei processi, con la possibilità di utilizzarla per migliorare la logistica alla base del sistema sanitario, come la gestione del personale o dei turni. Molto più interessanti, e non a caso anche molto più chiacchierati, sono poi gli usi per la ricerca preclinica – per individuare e selezionare molecole farmacologiche prima ancora di condurre esperimenti – e nell’area della diagnostica, con l’analisi di immagini e il riconoscimento automatico di specifici elementi. Più in generale, poi, c’è tutto il mondo delle applicazioni rivolte al paziente, che spaziano dalla somministrazione delle terapie fino ai servizi chatbot di informazione. E infine le azioni a livello di popolazione, come la mappatura o la predizione degli sviluppi di un’epidemia: un ambito che, soprattutto dal 2020 in poi, ha visto per ovvi motivi una grande accelerazione.
Tutti questi sistemi, per i quali si potrebbe fare una lunghissima lista di esempi applicativi, rientrano in particolare nella cosiddetta intelligenza artificiale narrow, ristretta o debole, il cui funzionamento è sostanzialmente statistico, per risolvere compiti puntuali e delimitati. Ancora in fase di implementazione – anche se secondo alcuni potremmo non arrivarci mai – sono invece i sistemi di intelligenza artificiale broad, generale o forte, che dovrebbero essere capaci anche di ragionare e di risolvere problemi.
Nonostante le perplessità diffuse sull’intelligenza artificiale broad, bastano le applicazioni narrow per far sì che il valore di mercato dell’AI per la medicina stia seguendo un trend di rapidissima crescita. Nel 2018 valeva 2,2 miliardi di dollari a livello globale, a fine 2019 era salita a 3,9, e le stime degli analisti indicano un tasso di crescita annuo prossimo al 40%. Tanto che, a livello di proiezioni, si parla di raggiungere quota 17 miliardi di dollari entro il 2024, 28 entro il 2025 e 35 per il 2026. Valutazioni che potrebbero essere pure sottostimate, perché non includono l’effetto di accelerazione digitale indotto dalla pandemia, e che solo secondo i più scettici potrebbero essere invece appena troppo ottimistiche.
Sfere di cristallo a parte, resta comunque il dato di fatto che le applicazioni sono sempre più numerose e accurate. Tra i filoni principali c’è anzitutto quello del monitoraggio (anche tramite soluzioni di telemedicina o dispositivi indossabili), poi la predizione degli esiti possibili – di un trattamento, di un intervento chirurgico, di un quadro clinico complesso – e la diagnosi, per ambiti che spaziano dai tumori alla radiologia, dalle malattie della pelle al diabete. Ma l’ampiezza delle applicazioni è tale che spesso è difficile perfino darne conto. Solo per l’oncologia, per esempio, l’intelligenza artificiale non si limita a supportare la fase diagnostica – con un’accuratezza che per il tumore al seno ha già raggiunto il 99% – ma può contribuire anche nella fase di trattamento con l’indicazione di dosi e terapie, oppure negli interventi con la chirurgia robotica di precisione, poi nella gestione dei dati clinici per individuare la strategia più promettente e più in generale in tutto il rapporto con il paziente tramite forme evolute di intelligenza emotiva.
Medici alle prese con una sanità high tech: ruoli chiari e alleanza lunga
Forse troppo di rado si sottolinea che quella tra medico e intelligenza artificiale non è una competizione, bensì un’alleanza. L’ingresso dell’AI e dei big data nei processi decisionali e di interazione con il paziente è di solito percepito come ciò che più direttamente impatta sulla professione medica. E se non c’è dubbio che, come per ogni tecnologia, l’innovazione si riflette in una modifica delle attività e in un’evoluzione della pratica quotidiana, allo stesso tempo sarebbe insensato additare l’intelligenza artificiale come qualcosa che stravolge l’occupazione in sanità. Come vale per molti altri ambiti, alcune mansioni diventeranno obsolete, ma in parallelo se ne creeranno di nuove in cui il medico possa dare ancora di più il proprio valore aggiunto, professionale e umano. Arricchendo l’equipe sanitaria di professionisti degli algoritmi, di scienziati dei dati, di esperti di tecniche di analisi computazionale e di figure ibride che possano far collaborare fra loro specialisti di campi diversi.
Meglio rifiutare, però, le narrazioni esclusivamente tecno-centriche. Tanto dal punto di vista operativo quanto da quello etico, infatti, l’IA non dovrà andare a sostituirsi al medico, a cui continuerà a competere la parte decisionale. In quanto strumento funzionante su base statistica e privo di autocoscienza e capacità di ragionamento, l’intelligenza artificiale può senz’altro essere di grande aiuto nella gestione di un caso clinico, ma non può avere in mano le redini né avere la responsabilità di ciò che sta suggerendo. Sarà fondamentale la capacità del decisore in carne e ossa di non limitarsi ad accettare ciò che l’algoritmo indica, ma di sfruttare l’intelligenza artificiale come un suggerimento da cui partire per compiere le scelte effettive. Mantenendo quindi chiara la distinzione tra lo strumento e la capacità decisionale.
Un futuro fatto di sfide, non solo tecnologiche
Quando ci si domanda cosa ci aspetti per l’intelligenza artificiale in medicina, va detto che i filoni di innovazione e sviluppo su cui si sta lavorando sono innumerevoli. Allargando appena il campo, per esempio, in tutto il mondo è in corso un grande sforzo per ottimizzare la capacità dell’intelligenza artificiale di prevedere la struttura tridimensionale esatta delle proteine, con applicazioni che vanno dallo sviluppo dei farmaci alla comprensione dell’origine di molte malattie. In parallelo, i sistemi di apprendimento automatico ricevono in pasto una quantità sempre maggiore di informazioni cliniche, dunque grazie ai big data del mondo reale (i cosiddetti real world data) lavoreranno con una precisione statistica ancora più raffinata. E naturalmente l’intelligenza artificiale diventerà sempre più abile nella gestione degli aspetti amministrativi, nella burocrazia legata alle prestazioni mediche, nell’ottimizzazione delle risorse sanitarie e pure nell’interagire direttamente con i medici e con i pazienti, scambiando informazioni attraverso interfacce conversazionali che possono essere utili tanto nel supporto psicologico quanto nel velocizzare le prestazioni.
Ma non è solo una questione tecnologica. Quando si parla di intelligenza artificiale e medicina del futuro, infatti, ci sono anche altri aspetti non banali di cui occuparsi: come assicurarci di avere algoritmi davvero trasparenti, che rendano conto della logica utilizzata per arrivare al risultato finale. Come garantire il diritto, riconosciuto pure nel Gdpr europeo, a non essere sottoposti a decisioni basate solo sul trattamento automatizzato dei dati. Come gestire la questione della responsabilità e come scongiurare che i dati si portino dietro discriminazioni, bias e storture ereditate dalla società reale. Gestiti questi aspetti, l’incontro tra medicina e intelligenza artificiale non potrà che essere una positiva alleanza per migliorare la salute, da tutti i punti di vista. A beneficio dei pazienti, dei sistemi sanitari e – perché no – di imprese e startup che hanno come mission il benessere e la cura delle persone.